domenica 25 aprile 2010

CPR - Intervento di Laura Petrone

COMITATO POLITICO REGIONALE DEL PRC CAMPANIA DEL 23 APRILE 2010

Non argomento sulla situazione nazionale perché mi risulta difficile in poco tempo. Mi si perdonerà se parto da un episodio, solo il più vicino nel tempo, che però credo sia emblematico della situazione in cui versa il Paese. Credo, infatti, che l’arroganza con la quale Marchionne si permette di ricattare i lavoratori della FIAT e del Sindacato alla presentazione del “piano di rilancio” ci dia la misura di quanto grave sia la mancanza di una vero baluardo sociale politico e culturale alla destra fascista e capitalista. Fa male constatare quanto il nostro Partito sia inadeguato a fronteggiare questa offensiva. L’arroganza padronale segnala quanto sia stato grave non aver potuto dare un sostegno più incisivo, nel Congresso CGIL, alla parte meno concertativa e più di lotta! In questo la Federazione della Sinistra s’è dimostrata ancor meno all’altezza di questo compito per oggettivi limiti strutturali. Mi chiedo quanto abbia pesato su certe mancate scelte il ricatto di Lavoro e Solidarietà all’interno della Federazione. Oggi i lavoratori pagano l’avanzata della destra fascista e capitalista e della posizione concertativa nel maggiore Sindacato. Tutto ciò condanna la FdS ad una inutilità politica che non è possibile superare, se non con una netto cambio di rotta nel suo percorso di costruzione.

Anche in queste elezioni regionali, la Federazione della Sinistra non ha ottenuto affatto un buon risultato e le premesse non erano certo delle migliori: se da un lato, infatti, le altre forze che compongono la Federazione, oltre al PRC, hanno avuto un peso nell’annacquamento della linea politica, sul piano organizzativo, della militanza ed elettoralistico, si sono dimostrate nulle.

C’è quindi una disparità forte tra i pesi sui vari piani delle varie forze componenti la FdS che può forse essere ben simboleggiato da un episodio verificatosi alla vigilia delle elezioni, quando il PRC aveva mandato in stampa e poi in distribuzione il nostro classico manifesto a fondo blu col simbolo. Ebbene, pochi sanno che questo manifesto è stato “ritirato”, su richiesta esplicita di Socialismo 2000, a causa del fatto che recasse la classica scritta “Vota Comunista”. Ecco perché in occasione delle regionali è stato successivamente distribuito il manifesto rosso con la scritta “C’è bisogno di Sinistra”. Il manifesto blu, già distribuito, è stato poi normalmente attacchinato dai Compagni che hanno ritenuto naturale farlo. Mi auguro che questa non sia stata l’ultima volta. Sarà la storia a dire se questo episodio prelude a qualcosa di più grande, ma se la Federazione della Sinistra dovrà tradursi nell’ennesima operazione liquidazionista, io di certo non ci sarò!

Vengo alla situazione in Campania. Avevamo chiesto con forza due cose sensate alla dirigenza regionale alla vigilia di questa campagna elettorale: per primo, il coinvolgimento dei circoli e l’avvio di una serie di uscite pubbliche su alcuni temi forti che ci caratterizzassero politicamente. Entrambe queste cose non sono state proprio prese in considerazione e, seppure i circoli hanno dimostrato un grande senso di responsabilità nei confronti del Partito e hanno sopperito alla meglio, con la sola militanza, alla totale assenza di direzione politica e di organizzazione, il Partito regionale, che veniva da anni di governo con Bassolino, non poteva certo costituire una opposizione credibile senza una opportuna caratterizzazione. Ad aggravare la situazione che già presentava le menomazioni di cui sopra, s’è aggiunta l’incomprensibile scelta di non sostituire la responsabile regionale dell’organizzazione, che aveva lasciato il PRC proprio prima delle elezioni.

Quanto affermato stasera dal Segretario Nappo, sulla non condivisione della scelta calata dall’alto di andare da soli, non assolve affatto, dunque, questo gruppo dirigente dalle proprie responsabilità, perché la coerenza avrebbe voluto che egli si fosse presentato dimissionario prima delle elezioni. Non è certo credibile ora, col senno di poi, questa presa di distanza. Credo che sia doveroso, invece, che il gruppo dirigente regionale prenda la propria parte di responsabilità, e che, anche se si tiene conto di tutte le difficoltà che questo organismo ha vissuto nella sua storia recente, parecchio travagliata, dia prova di una forte discontinuità con la gestione vista sinora. Premessa di tutto ciò deve essere necessariamente l’azzeramento della segreteria regionale.

In tal caso saremo disponibili a dare il nostro contributo per la ricostruzione del Partito all’interno di un percorso di rinnovamento.

Chiudo con un cenno alla situazione napoletana, perché penso che quanto accaduto alle elezioni regionali, e soprattutto nelle fasi precedenti, debba servire come monito, affinché non si arrivi alle comunali di Napoli in condizioni simili. Occorre che il Partito napoletano si doti al più presto di un gruppo dirigente democraticamente eletto che possa condurci a quell’appuntamento elettorale.

Laura Petrone

martedì 6 ottobre 2009

Comunicato Gc Napoli contro l'aggressione fascista - SGOMBERO IMMEDIATO!

Oggi 6 Ottobre 2009 uno studente della scuola superiore “Margherita Di Savoia” di Napoli ha subito una barbara aggressione da parte del gruppo neo-fascista “Casa Pound”. Francesco Traietta, aggredito appena fuori la scuola, ha riportato la frattura di una costola.Casa Pound dimostra ancora una volta la propria natura violenta e fascista di fronte alla quale nessuna tolleranza è più possibile.I Giovani Comunisti di Napoli esprimono la loro piena solidarietà al compagno vittima dell'aggressione e richiedono alle istituzioni tutte l'IMMEDIATO SGOMBERO della struttura occupata da Casa Pound a Materdei.Proponiamo inoltre una mobilitazione antifascista, popolare e di massa, che sottragga ogni diritto di cittadinanza e legittimità ad un'organizzazione che sistematicamente si fa portatrice di messaggi intolleranti, xenofobi, omofobi e pratiche politiche espresse soltanto tramite violenza.
Giovani ComunistiFederazione di Napoli

lunedì 5 ottobre 2009

9 OTTOBRE - SCIOPERO GENERALE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI METALMECCANICI





Concentramento a Piazza Mancini ore 9.30

la manifestazione si concluderà a Piazza del Gesù

interverrà Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom-Cgil

Alla manifestazione di Napoli saranno presenti le regioni

Campania | Puglia | Basilicata | Molise | Calabria


giovedì 17 settembre 2009

Dichiarazione di voto in merito al Documento presentato dalla segreteria nazionale

Voteremo a favore del documento presentato dalla Segreteria nazionale perché ne condividiamo l’analisi sociale, la proposta della costruzione di un polo della sinistra di alternativa di ispirazione anticapitalista e la necessità del superamento del bipolarismo. Riteniamo inoltre che l’urgenza politica imponga l’avvio di un confronto nei gruppi dirigenti sulle scelte relative alle elezioni regionali e sul congresso della CGIL.

Ma constatiamo tuttavia nel dibattito elementi di ambiguità specie per quanto riguarda la prospettiva della Federazione. Il nostro punto di vista è netto. La federazione, può costituire l’obiettivo da perseguire, ma solo ad una condizione e cioè che essa non metta in discussione l’obiettivo fissato a Chianciano e cioè il rafforzamento del partito e lo sviluppo del suo progetto: la Rifondazione comunista.

In questo senso va anche la nostra scelta di votare per l’allargamento nella segreteria. Una scelta a tutela del pluralismo ma una scelta nella chiarezza. Non crediamo infatti che esista una base politica omogenea in questa segreteria. Vi sono convergenze ma anche profonde differenze che non vanno negate, ma assunte.

Area programmatica Sinistra Comunista*

13 settembre 2009

Intervento di Adriana Miniati al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

E' bene che in questo Cpn si faccia un bilancio dell'azione politica del partito, perché si tratta di aprire una nuova fase che presenta aspetti impegnativi. Per rispondere alle osservazioni della compagna Rinaldi circa la linea o addirittura le linee politiche del Congresso di Chianciano, credo che si possa agevolmente dire che il Congresso di Chianciano ha espresso una linea politica prevalente che ci ha salvato dalla scomparsa di un partito comunista in Italia, ma dobbiamo avere la consapevolezza che il partito, dopo il progetto dell'Arcobaleno, è orfano di in progetto politico,ma che la scissione ha provocato danni gravissimi, fra cui il più significativo è che ha diviso la Sinistra ( e non colloco il Pd in questa formazione) in due componenti che da allora sono in aperta competizione fra loro e per ora confliggenti ; e che da allora è oggettivamente più difficile l'azione di un partito comunista che scientemente rifiuta l'omologazione e tutte le compatibilità.

Però, sull'allargamento della segreteria nazionale alla mozione 2, ritengo che la mia componente, poiché reduce da non dimenticati interventi autoritari e discriminatori nei confronti delle minoranze interne, è molto sensibile alla questione dell'agibilità politica e della gestione collettiva delle strutture del partito, per cui, in nome del concetto di pluralismo e della democrazia interna, valuto come positivo l'ingresso in segreteria dei compagni della 2, i quali ,per altro,non hanno ritenuto politicamente corretto uscire con gli altri vendoliani, nell'atto della scissione che ha ferito il partito per lunghi mesi e ha teso a danneggiarlo. Penso anche che la convergenza politica con l'asse politico stabilito al CONGRESSO di CHIANCIANO dovrà essere nel processo inverato osmoticamente e verificato.
Sulla Federazione, dico subito in sintesi cosa non può in assoluto essere : non può costituire un annuncio di evoluzioni negative, nè neo-arcobaleniste, nè di scioglimento del partito verso un nuovo soggetto.
E' vero che per il Prc il primo problema è come superare gli ostacoli del bipolarismo ed è in questo contesto che nasce la proposta della Federazione della Sinistra di Alternativa che potrebbe mutare non poco la prospettiva del partito: il punto politico è che dobbiamo accrescere la massa critica dei consensi e creare un sistema di alleanze più ampio della lista unitaria , ma questo non può avvenire senza due contenuti essenziali e ineliminabili , ovvero il radicamento e la credibilità sociale. Poiché la federazione appare un compromesso fra esigenze diverse tutte da perseguire, la proposta presenta ambiguità almeno su due aspetti , primo fra tutti la questione della cessione della sovranità dei soggetti e in secondo luogo, il rapporto fra Autonomia e Unità.
Centrale pertanto , secondo me, è che non si può continuare a parlare di Federazione senza affrontare, contestualmente,il problema di rilanciare la RIFONDAZIONE del nostro partito , non sotto la vuota forma dell'enunciazione, ma nella sostanza , ovvero per praticarlo e verificarlo, ; altrimenti, se non lo si fa, si rischia di decomporlo, e ciò potrebbe essere un passaggio che serve poi per superarlo. Su questo tema va dato da questo Cpn un chiaro segnale politico.
Anche perché la situazione del partito non è buona nei territori e non mi riferisco solo al dato allarmante del tesseramento. Infatti l'assenza di indicazioni sulle regole di funzionamento della Federazione e l'assenza di finalità chiare hanno causato dubbi fra i compagni di base e confusione nel modo di procedere dei territori, dove sono nate in questi mesi strutture diversificate, talvolta persino in contrasto con l'idea stessa di Federazione .
Il progetto perciò è apparso finora ai più confuso e aleatorio e ciò è servito- da una parte- talvolta a rallentare e persino bloccare l'iniziativa politica delle singole federazioni ( che rispondono con difficoltà alle richieste di coordinamento, di collegamento fra federazioni viciniori che hanno in comune alcune vertenze territoriali e di coesione nella lotta che dalla struttura regionale del partito proviene); talvolta ha dato vita invece a coordinamenti forzosi persino a livello di zona o alla costituzione di circoli unificati , a feste "unitarie".... etc.
Ma penso che il peggio proviene dal dibattito politico in corso nel partito, laddove si sviluppa, e non sempre nel confronto aperto, ( ad es, la Direzione Nazionale di ieri era la prima volta che discuteva di questo Progetto che però è in campo dal 18 luglio), in cui la Federazione per ora è apparsa come un ombrello sotto il quale convivono progetti politici diversi.
Infatti su di essa i compagni di base si fanno domande elementari , ma essenziali fra cui : " La Federazione alla fine sarà la convergenza fra PDCI e Prc?" in questo caso allora la Federazione è solo un escamotage tattico" . E ancora alcuni si domandano :" Sarà alla fine forse la riproposizione neo-arcobalenista?Allora la Federazione è uno strumento per costruire il Soggetto unitario della Sinistra!". E qui appare chiaro che coloro che perseguono questo obbiettivo vogliono superare , al contrario dei primi, il rapporto a due, fra Pdci e Prc. In ogni caso, queste due tensioni vogliono ambedue superare il Prc come soggetto politico autonomo e ambedue hanno alla base un forte atteggiamento , non nichilista come Bertinotti, ma certo scettico circa le sorti del Prc.
Invece io penso che c'è una posizione alternativa a quelle suddette che sostiene esserci al centro il Prc, che esso non deve essere superato, perché anche il progetto della costruzione di una Sinistra di alternativa, che abbiamo detto essere necessitata dagli esiti elettorali e dall’ampliamento delle basi di consenso per il nostro partito, si può reggere e sostenere solo se ha al proprio interno , come asse centrale, un partito comunista che imposti con determinazione e coerenza la trasformazione della società ; e per ora, quanto a questo, fuori dal nostro partito, non c’è nessun altra organizzazione che abbia alla base un profilo come questo.
L’unica proposta credibile è dunque costruire una Sinistra di alternativa come UN CAMPO DI FORZE AUTONOME, certamente, da ampliare, certamente , che converga in liste unitarie, in cui però il Prc è il soggetto principale, proprio per questo su questo obbiettivo vanno concentrati i nostri sforzi per farne un partito rifondato, che si orienti nel conflitto sociale, e che lo colleghi alla battaglia di opposizione al Governo Berlusconi nel paese.
Ultimo punto : condivido il contesto che il segretario nazionale ha espresso sui limiti finora presenti nelle proposte del partito, a cui è mancato un piano politico generale e istituzionale con al centro l’elaborazione di una proposta per sconfiggere Berlusconi e per costruire le condizioni di un Governo istituzionale in cui si pervenga a una legge elettorale proporzionale, elemento essenziale per superare il Bipolarismo; trovo però corretta , ma velleitaria la proposta di un governo istituzionale di 6 mesi per fare la Legge e poi si dimetta; ma soprattutto ciò che viene eluso e bypassato è come noi del PRC costruiamo un’opposizione nel paese che possa determinare quello sbocco finale. Perciò la ripresa del conflitto da fare subito non deve essere slegata dall’opposizione al Governo.

Intervento di Sandro Targetti al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

Confermo l’utilità e la giustezza di una gestione collegiale del partito, soprattutto nell’attuale fase di difficoltà, ma esprimo forti preoccupazioni per la tenuta della svolta a sinistra decisa con il Congresso di Chianciano soprattutto sul fronte della rifondazione comunista e della costruzione di una sinistra anticapitalista alternativa alle destre ed al PD. Arretrare su questi due aspetti, strettamente legati fra di loro, e ripiegare su una gestione politicista della stessa proposta di “federazione”, comporterebbe una deriva moderata e inconcludente, una diversa linea politica.

La mia preoccupazione è motivata dal fatto che a Firenze questo è già avvenuto lo scorso luglio con la elezione di una nuova segreteria basata su una maggioranza diversa da quella di Chianciano e molto in continuità con quella che gestiva il partito prima della sconfitta arcobaleno. Sono emerse forti divergenze sull’analisi del voto amministrativo e sulle scelte da compiere in vista delle prossime regionali, sia sul piano sociale che politico. Nella relazione il segretario ha posto giustamente l’accento sulla centralità del nostro intervento sociale, ma è mancato un avvio di discussione sulle prossime elezioni regionali e sul Congresso della CGIL. Ritengo questo non più rinviabile perché la nostra presenza nei conflitti e sui temi della crisi per essere efficace ha bisogno di una proposta, di una proiezione politico-istituzionale chiara e coerente, sia con i contenuti delle lotte nelle quali siamo impegnati sia con il lavoro di costruzione di una sinistra anticapitalista, alternativa al PD ed alle logiche del bipolarismo. Non mi piace il clima dimesso e poco attento di questo CPN: le difficoltà del PRC non si superano con espedienti tattici ed accordi ambigui, ma lavorando per occupare con chiarezza uno spazio politico e sociale di alternativa.

Intervento di Alba Paolini al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

Il percorso “Innovativo”, avviato dal Congresso di Venezia, che soppresse l’organizzazione ignorando i Circoli e considerando marginale il tesseramento, ci pose su una strada tutta in discesa, fino alla svolta del Congresso di Chianciano.

Dalla nascita del partito, 1991, con 112.835 iscritti, al picco più alto raggiunto nel 1997, con 130.509 iscritti, (organizzazione: Crippa/Caprili) al 1999 (anno della scissione) in poi, scendiamo sotto i 100.000 iscritti, fino ad arrivare all’ultimo dato, il 2007 con 86.236 iscritti. Da allora in poi, facciamo fatica a riorganizzarci. Il tesseramento attuale è intorno al 40%. Siamo pertanto, tutti chiamati ad aiutare l’organizzazione a ricostruire la rete dei responsabili del tesseramento e di fare del proselitismo, uno dei nostri principali compiti. Urgente è l’impegno del progetto della Rifondazione Comunista in cui rimettere i Circoli al centro della nostra forza strategica. Altri ancora sono gli impedimenti al rafforzamento del partito, tra cui: l’immobilismo, (due esempi, l’abbandono di Napoli e il disastro della gestione di Roma). La poca chiarezza di linea nella proposta della federazione, cosa intendiamo e quali sono le regole? Parliamo di contenuti e qui voglio dire, che se c'è chi pensa, che la federazione possa essere lo strumento per avviare il superamento del nostro partito, che l'Area politica e culturale, rappresentata da Sinistra Comunista, dichiara da subito la sua totale avversione. Il partito deve essere strumento funzionante e deve appartenere a tutti senza rifare errori di esclusioni di minoranze, ma ognuno con la propria capacità, storia e convinzione. Con l’unico progetto comune: Rafforzare il partito della Rifondazione Comunista. Il Congresso di Chianciano aspetta nei fatti di essere messo in atto, con meno chiacchere e più azioni politiche. Al lavoro quindi, i lavoratori in lotta hanno bisogno di un grande e unito partito comunista.

Intervento di Fabio Biasio al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

I nostri compagni tedeschi dei ”DIE LINKE“ hanno ottenuto un risultato elettorale estremamente soddisfacente nelle recenti elezioni in tre regioni. Il 27 settembre si svolgeranno le elezioni politiche per il rinnovo del parlamento federale e per i DIE LINKE si profila un risultato di circa il 12 per cento, che vorrebbe dire un ampliamento della propria presenza non solo nelle regioni della ex-Germania Est, da sempre roccaforti della sinistra, ma anche nelle regioni della Germania occidentale.

Io vivo a Berlino da 23 anni e ho seguito lo sviluppo di questo movimento politico sin dalla sua nascita come PDS subito dopo la caduta del Muro: ora lavoro molto a contatto con i DIE LINKE, per la campagna elettorale. C´è da chiedersi il motivo perchè tra il nostro partito e il loro vi siano differenze talmente macroscopiche di successo elettorale, che poi significa presenza sul territorio e capacità di affrontare e lavorare su temi di interesse sociale. Penso a due motivi: uno la differenza delle realtà politico-sociali tra Germania e Italia: la ”grande coalizione“ della Merkel tra Cristiano-Democratici e Socialdemocratici spinge altrove gli elettori delusi da questa alleanza, spostando i loro voti verso l´estrema destra e, fortunatamente, soprattutto verso l´estrema sinistra. In ogni caso in Germania la coscienza politica resta molto alta i dibattiti politici si svolgono in Parlamento, come dovrebbe essere, e non in salotti televisivi come in Italia. Il secondo motivo ha a che fare con il partito stesso e con il suo modo estremamente semplice e diretto di portare avanti battaglie politiche ”di base“ come quelle sulle paghe orarie minime, sull´età pensionabile, sulle tassazioni sui redditi più alti e sul ritiro delle truppe in Afghanistan. Tutte tematiche di lotta che sarebbero applicabili anche in Italia e che, probabilmente, verrebbero più prese in considerazione se si seguisse una prassi politica più ”di base“ e più vicina al territorio.

martedì 15 settembre 2009

Intervento di Gianluigi Pegolo al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

Per esigenza di sintesi, mi concentrerò su alcuni dei nodi posti nella relazione del segretario.
Il primo nodo attiene all’adeguatezza della nostra iniziativa. E’ certamente vero che il presupposto per il rilancio del nostro ruolo è la capacità di attivazione e sostegno del conflitto sociale, ed è altrettanto vero che a questo livello abbiamo molti limiti, specie nella capacità di estendere il nostro intervento. Alcuni segnali di ripresa ci sono, ma non sono sufficienti. Occorre, allora, attrezzarsi per potenziare la nostra iniziativa sociale. Mi chiedo, tuttavia, se questo impegno risolva automaticamente il problema della costruzione del consenso e, cioè, della nostra legittimazione in un’area vasta di opinione pubblica di sinistra.
Ho dei dubbi a tale riguardo. Il limite, infatti, che avverto non sta solo nell’insufficiente iniziativa sociale, ma anche nella capacità di dare alla stessa un respiro politico generale, connettendola con la battaglia contro il governo, riconducendola ad una proposta di uscita dalla crisi che sia compresa a livello di massa e che ci consenta di competere con le altre forze politiche. Questa connessione fra lotta sociale e lotta politica va praticata. Alcune possibilità vi sono. Voglio fare un solo esempio. Fra pochi mesi avremo un appuntamento fondamentale: le elezioni regionali. Penso che prima di parlare di formule delle alleanze sia necessario individuare alcuni contenuti fondamentali, assumendoli come parametri delle nostre scelte. A tale riguardo, credo dovremmo porre nei programmi una richiesta fondamentale: che le regioni si dotino di veri e propri “piani in difesa dell’occupazione e contro gli effetti della crisi”. Penso ad un insieme coerente di proposte che spazino dalla salvaguardia dei posti di lavoro, alla difesa del reddito, a misure di riconversione ecologica dell’economia. Questa proposta consente di definire un insieme di obiettivi socialmente qualificanti, ma consente anche di collegare le vertenze locali con le politiche regionali. Se, poi, una simile proposta venisse praticata attraverso modalità che consentissero una partecipazione diffusa – per esempio attraverso petizioni popolari – potrebbe offrire l’occasione per un’ampia mobilitazione del partito e per una sua visibilità.
Un secondo nodo che vorrei affrontare è quello della proposta politica che c’è stata presentata dal segretario e cioè: l’”alleanza democratica” per un governo istituzionale a tempo limitato che si proponga di varare una nuova legge elettorale proporzionale e di operare un risanamento democratico del paese. Si tratta di una proposta che ha un merito: tenta di rispondere ad una domanda esistente a livello di massa e cioè come costruire le condizioni per battere Berlusconi. Al tempo stesso, si propone di superare il bipolarismo. La proposta ha, però, anche dei limiti: e ancora vaga e va puntualizzata per le sue numerose implicazioni, ma soprattutto essa si proietta su uno scenario futuro all’indomani della caduta di Berlusconi. Mi chiedo: tale caduta è imminente? E se - come io penso – non lo è, cosa rimane della proposta? A me pare che vi sia una sola possibilità per poterla avanzare con un minimo di coerenza: da subito la “questione democratica” ( a partire dalla lotta al pacchetto sicurezza) deve entrare nell’agenda della battaglia di opposizione, facendo crescere un movimento di opinione capace di raccogliere un consenso trasversale. In quest’ambito si colloca anche la questione della legge elettorale. La battaglia per la proporzionale va costruita da subito, se la si vuole ipotizzare in una futura alleanza elettorale, e con strumenti che consentano una mobilitazione estesa e che siano condivisi da un ampio arco di forze. A tale proposito, credo dovremmo assumere l’indicazione di una legge d’iniziativa popolare per la reintroduzione di un sistema elettorale proporzionale a partire dalla proposta che un gruppo di lavoro di cui fanno parte, oltre a noi, altre forze politiche e un significativo numero di esperti, sta elaborando.
Il terzo nodo che vorrei affrontare è quello della federazione. Che vi sia la necessità della costruzione di un polo della sinistra di alternativa non vi è dubbio, ma come costruirlo è questione aperta. Un primo rischio è rappresentato dalla possibilità, molto concreta, che la federazione sia percepita come un semplice contenitore e che come tale sia assai poco allettante. Né credo che puntare tutto sul bisogno di unità a sinistra e illudersi che in ragione di ciò la federazione possa ottenere consensi sia sufficiente. Dopo l’esperienza dell’Arcobaleno, non c’è unità che tenga se questa non comunica valori, se non assume un profilo convincente. Il punto di forza di una sinistra di alternativa può essere solo quello di incarnare una domanda di cambiamento e di esserne interprete conseguente, in primo luogo agendo a sostegno del conflitto sociale. Se non vi è la capacità di assumere tale profilo, i risultati non verranno. L’elemento preoccupante è che nei territori sta avvenendo il contrario di ciò che sarebbe necessario. La federazione viene presentata come un’operazione politicista, senza una caratterizzazione significativa che non sia quella del valore in sé dell’aggregazione. E’ mia convinzione che se la federazione non dimostra da subito la sua utilità sociale – per esempio assumendo come centrale l’intervento sulla crisi – i rischi di fallimento siano molto concreti.
Il problema principale della proposta della federazione sta, però, nella sua compatibilità con lo sviluppo del nostro partito. Che vi sia questa compatibilità non è certo. Dipende dalle regole che la federazione si darà e che fino ad ora non abbiamo avuto l’occasione di approfondire. In presenza di una cessione di sovranità troppo consistente il partito sarebbe destinato a perdere la sua ragion d’essere, ma dipende anche da quanto è forte l’impegno al rilancio del partito. Non mi riferisco solo alla ricerca sul tema del comunismo, ma anche ad un intervento straordinario sul tesseramento, al sostegno all’iniziativa sociale dei circoli, alla formazione dei quadri e via dicendo. Questo impegno – dobbiamo riconoscerlo – oggi non c’è e il rischio che il partito tenda alla consunzione è reale. Qualcuno potrebbe pensare che, dato l’indebolimento subìto dal partito, non vi sia che un’unica possibilità: puntare tutto sulla federazione. Sarebbe un calcolo assai miope. Una federazione senza un forte partito comunista al suo interno non è destinata a durare, senza contare il fatto che l’indebolimento del partito alla fine si trasferirebbe alla federazione facendola diventare poca cosa. Per onestà, devo affermare che su questo punto nel dibattito sono emerse molte ambiguità e reticenze.
E vengo all’ultimo nodo, quello della gestione unitaria. Come ho avuto più volte occasione di ribadire, credo profondamente nel valore del pluralismo e quindi nel coinvolgimento nella gestione del partito di tutte le mozioni. Per questo sono favorevole alla proposta di allargamento della segreteria ai compagni della mozione 2, ma proprio in nome dello stesso principio di pluralismo è necessario che tale allargamento venga rappresentato per quello che è. Per farla breve, si tratta di dar vita ad una segreteria collegiale in cui vi è condivisione su alcune scelte, ma in cui permango differenze sul piano strategico. Da questo punto di vista, alcuni interventi dei compagni della mozione 2 sono stati, a tale riguardo, assai espliciti, marcando differenze di non poco conto sul giudizio sulla linea di Chianciano e sulla stessa idea di unità a sinistra. Allora, laicamente riconosciamo che tutti hanno il diritto a concorrere alla gestione del partito, che un confronto di idee è sempre meglio di una gestione di parte per quanto omogenea, ma non neghiamo le differenze, riconoscendole per quello che sono, specie se sono rilevanti.

Intervento di Laura Petrone al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

La situazione esplosiva in cui versa il Paese con la deriva antidemocratica che sta vivendo, con la crisi economica che non si è ancora pienamente manifestata nei suoi aspetti più drammatici dal punto di vista sociale, fanno sì che la ri-costruzione di un Partito Comunista in Italia sia una necessità non più rimandabile.
Lo stato in cui versa il PRC col tesseramento al 40%, con la situazione economica che sta vivendo, con l’organizzazione ai minimi termini e il conseguente azzeramento dell’iniziativa politica in moltissimi territori, non sono soltanto il frutto di alcune sciagure che ci sono piombate addosso. È un vuoto di direzione politica quello che scontiamo, è la mancanza di chiarezza e di volontà di affrontare i nodi veri della discussione. La scelta del Segretario nazionale di rimandare la discussione su due questioni affatto secondarie, come il Congresso della CGIL e le prossime Elezioni regionali. È proprio in questo vuoto che si alimenta il disorientamento nel corpo del Partito. Sono d’accordo che non basta stare fuori ai cancelli delle fabbriche ad esprimere la solidarietà che meritano i lavoratori in lotta, ma come si fa ad assolvere al nostro ruolo storico se non si sciolgono questi nodi e non si fa la dovuta chiarezza all’interno dei luoghi democratici del Partito?! Come si fa a diventare punto di riferimento dei lavoratori se non siamo in grado di esprimere una proposta politica chiara anche sul terreno sindacale? Credo che saremo destinati a rimanere fuori a quei cancelli se non saremo in grado di determinare i rapporti di forza interni al Sindacato. L’isolamento voluto della CGIL pone milioni di lavoratori in un disagio che, ad oggi, non siamo in grado d’intercettare. E mentre l’ipotesi di cogestione delle aziende viene liquidata, Epifani bussa alla porta di Confindustria e la FIOM viene letteralmente cacciata dal tavolo delle trattative di Federmeccanica perché ritiene la sua piattaforma “non negoziabile” (circostanza che mette a rischio uno degli ultimi baluardi di resistenza all’interno del Sindacato), il nostro Partito assiste incapace di sostenere efficacemente le posizioni più avanzate. Occorre urgentemente ricostruire una nostra politica sindacale che possa rimetterci in campo in tutte le realtà lavorative e sociali del Paese.
Ritrovo ancora assenza di chiarezza nell’ipotesi di Federazione, che è stata avanzata dal Segretario nazionale prima fuori dagli organismi dirigenti del Partito, e, sebbene egli sia stato chiaro nello sfatare eventuali ipotesi di superamento o scioglimento del PRC nell’immediato, non lo è stato altrettanto sulle regole e sui soggetti da coinvolgere, che a mio avviso sono innanzitutto le formazioni comuniste alla nostra sinistra. La Federazione rischia di essere declinata in modi differenti sui territori in base più agli equilibri interni che ad un reale progetto politico. Rivolgo la massima preoccupazione naturalmente allo stato di salute del Partito perché, parallelamente alla costruzione della Federazione, occorre mettere in campo un’idea e una pratica di rilancio del PRC che non c’è.
Affronto due ulteriori questioni. Sull’ipotesi di governo istituzionale a termine, sebbene la proposta porrebbe il Partito a riparo in una eventualità che, francamente, non vedo alle porte, la caduta del Governo Berlusconi, penso che essa vada inquadrata nella battaglia complessiva di opposizione del PRC. Occorre lanciare una forte campagna di tenuta democratica per difendere le istituzioni e la libertà in questo paese e, solo in nome di questa, credo si possa anche parlare a soggetti politici lontani da noi.
In ultimo, ho sempre invocato la gestione unitaria del Partito quando la mia componente era all’opposizione interna, sono favorevole anche ora ma sempre nella chiarezza delle posizioni e della linea del Partito. L’ingresso dei Compagni della Mozione 2 in Segreteria non azzera le differenze politiche, che rappresentano sempre una risorsa, anche perché il pluralismo non è unanimismo. Mi auguro tuttavia che si facciano tutti gli sforzi possibili per la completezza di questa unità come base per la salvaguardia e il rilancio della Rifondazione Comunista.

venerdì 4 settembre 2009

PER LA RIPRESA DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA

di Daniele Maffione*

La formazione è una caratteristica essenziale di un partito comunista. Questa, però, non dev’essere intesa in modo dogmatico. Il marxismo è una scienza che si nutre della realtà. Dalla sua elaborazione può scaturire una nuova cultura politica e prendere moto un nuovo processo rivoluzionario. Rifondazione comunista tralascia troppo spesso questa esigenza, poiché si appiattisce su logiche interne e di apparato, che non consentono un reale processo di ricostruzione del partito comunista, prospettiva auspicabile per un partito in cui convivono più orientamenti politici. La preparazione dei quadri e dei militanti di un partito ne garantisce l’omogeneità teorica e l’innalzamento della preparazione culturale, con un conseguente miglioramento dell’efficacia politica e sociale del Partito stesso. Dal 26 al 31 agosto l’area programmatica e culturale Sinistra Comunista ha promosso a Rocca di Papa (Rm), situata nei Castelli romani, a pochi chilometri dalla storica località delle Frattocchie, la sua prima Scuola di formazione politica, proprio per ovviare a questa grave lacuna del Partito. L’intera iniziativa è stata ospitata nella villa di un compagno, che ha messo a disposizione la propria abitazione, trasformandola per cinque giorni in “Casa del Popolo”, garantendo una forte coesione fra i partecipanti. Giorno e notte un folto gruppo di militanti ha vissuto a stretto contatto, imparando anche ad autogestire i momenti di studio, aggregazione e ricreazione. La Scuola è stata principalmente rivolta ai Giovani Comunisti, ma è stata fin da subito aperta anche ai compagni del Partito, poiché l’esigenza della formazione è sentita dai militanti di tutte le età. La completa riuscita di questo evento, concepito da mesi, ha visto prodursi un notevole sforzo organizzativo da parte della nostra area, che, nonostante la natura sperimentale dell’iniziativa, è riuscita a garantire un elevato profilo culturale alla Scuola. Le tematiche affrontate sono state individuate sottoponendo a tutti i militanti un questionario, in cui venivano poste delle domande semplici, al fine di acquisirne il grado di preparazione. Dai risultati del questionario sono stati stabiliti dei criteri ed è stata fatta una cernita delle esigenze della base. In questo modo, sono stati individuati quattro temi da affrontare: 1- Il pensiero marxista e leninista nei suoi tratti essenziali; 2- il conflitto fra capitale e lavoro; 3- la questione democratica e l’antifascismo; 4- le questioni internazionali, con specifico riferimento allo stato dei partiti comunisti ed anticapitalisti in Europa. Per ogni tema sono stati scelti degli argomenti da affrontare ed individuati dei relatori. Fra gli altri, hanno contribuito alla riuscita dell’evento Gianni Ferrara, esperto nei temi di diritto costituzionale, e l’economista Emiliano Brancaccio, che hanno partecipato direttamente alla Scuola di formazione. Accanto a questi, alcuni compagni, giovani ed adulti, hanno fornito la propria preparazione culturale, mettendola a disposizione dei partecipanti. Tra questi, ricordiamo i contributi di: Arianna Ussi, docente precaria di storia e filosofia, che ha tenuto due eccellenti lezioni sul materialismo storico in Marx e sul concetto di egemonia in Gramsci; Andrea Montella, esperto nello studio della massoneria, che ha tenuto una lezione multimediale sul ruolo delle logge massoniche in Italia e nel mondo; Andrea Genovese, che ha svolto un lavoro di ricerca ed tenuto una lezione sui partiti comunisti e le formazioni anticapitaliste in Europa. Altri relatori hanno svolto lezioni sull’esperienza del P.C.I. e sulla concezione rivoluzionaria in Lenin. Alba Paolini, invece, ha curato una lezione sul Partito della Rifondazione comunista, che è l’unico partito comunista che un giovane dai trentacinque anni in giù può aver conosciuto nella propria esperienza militante. Questa lezione sul nostro Partito, tenuta da una fondatrice del P.R.C., è stata particolarmente sentita dai partecipanti della Scuola di formazione della nostra area, poiché l’errore di tutte le esperienze di formazione, sin qui concepite, è stato di rivolgere il proprio sguardo al passato, perdendosi in un’evocazione nostalgica dei fasti del comunismo, tralasciando completamente il presente. In questo modo, invece, è stato possibile comprendere il ruolo giocato dalle differenti formazioni politiche che hanno animato Rifondazione comunista, generando poi le aree, che costituiscono ed animano il nostro Partito.La Scuola di formazione è stata un vero successo, sia nei termini della partecipazione numerica, che è aumentata quotidianamente, sia nei termini dell’aggregazione umana e politica. Tant’è vero che a questa bella esperienza hanno partecipato molti compagni di altre aree politiche, a dimostrazione del fatto che la formazione è un’esigenza di tutta la base del P.r.c.. La Scuola poi, è stata conclusa il sabato dall’iniziativa pubblica intitolata: “Come proseguire il cammino della Rifondazione comunista?”, al quale hanno partecipato i compagni Pegolo, Valentini, Mantovani e la compagna Bracci Torsi. Il dibattito è stato interessante ed ha posto una discussione sui problemi della costruzione della federazione della sinistra d’alternativa e sull’unità dei comunisti. Entrambe le opzioni possono convivere soltanto rilanciando il processo della Rifondazione comunista, che non può nutrirsi soltanto di formule organizzative, ma deve vedere una ripresa del suo cammino, con l’elaborazione di una cultura politica creativa e rivoluzionaria, che muova dai contenuti politici e dalla naturale collocazione del nostro Partito nei conflitti degli oppressi e nei processi reali in atto nel Paese. Con l’esperienza della Scuola di formazione, Sinistra Comunista ha dimostrato a tutto il Partito che il ruolo delle aree non è inutile quando queste hanno vocazione unitaria e propongono elaborazione teorica e dinamismo sociale. Le aree possono svolgere un ruolo fondamentale nel Partito, se non propugnano battaglie interne per l’auto-riproduzione del ceto politico. La nostra esperienza è a disposizione di tutti i compagni del P.r.c.. Nostra intenzione è replicare la Scuola di formazione, di cui abbiamo diffuso fra i partecipanti i materiali, ed accompagnarla alla costruzione di seminari territoriali, che partano dalle esigenze della base militante e contribuiscano a riattivare il progetto originario della Rifondazione comunista, proponendo la costruzione del partito inteso come “intellettuale collettivo”.
*Giovani Comunisti, area programmatica e culturale Sinistra Comunista - P.R.C.

lunedì 24 agosto 2009

Come proseguire il cammino della Rifondazione Comunista?


Nell'ambito del

1° Corso di Formazione politica di sinistracomunista*

(26/31 agosto - Rocca di Papa - Roma)


Sabato 29 agosto alle 16,30 a Rocca di Papa

Incontro/dibattito

COME PROSEGUIRE IL CAMMINO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA?

con

G. Pegolo - R. Mantovani - S. Valentini - B. Bracci Torsi

Modera: L. Petrone


Info: Daniele - 3343123484

venerdì 24 luglio 2009

La federazione della sinistra di alternativa, le sue finalità e l’autonomia di Rifondazione Comunista

di Gianluigi Pegolo
Sabato 18 luglio nell’assemblea tenuta ai Frentani, a Roma, è stata lanciata la proposta della “federazione della sinistra di alternativa”. L’obiettivo dichiarato: allargare il campo di forze che ha dato vita, in occasione delle scorse elezioni europee, alla “lista comunista ed anticapitalista”. Il mezzo? Una federazione e, cioè, un assetto organizzativo che prevede il mantenimento dell’autonomia dei singoli soggetti, ma il loro raccordo attraverso strutture unitarie, nella prospettiva di una presentazione comune alle elezioni e di un programma d’iniziativa concordato.

La cospicua partecipazione che si è avuta dimostra che il tema dell’unità a sinistra è sentito e, peraltro, la cosa è del tutto comprensibile. Alle scorse elezioni la lista comunista ed anticapitalista ha conseguito il 3,4 per cento non riuscendo ad ottenere una rappresentanza nel parlamento europeo. Un risultato insoddisfacente, dunque, che - tuttavia - è ancora più preoccupante se lo si mette in relazione con il complesso del sistema istituzionale rappresentativo. Il 3, 4 percento rappresenta, infatti, una soglia che rischia di porre le forze che si sono presentate insieme alle europee in una collocazione extra istituzionale, a causa degli sbarramenti già operanti e in via di definizione nei diversi livelli istituzionali (dal parlamento, alle regioni, alle province e ai comuni). Ne consegue che la costruzione di un campo di forze che consenta di raggiungere una massa critica adeguata (in primo luogo a livello elettorale, ma non solo) costituisce un’esigenza inderogabile, pena il rischio della crescente irrilevanza ed emarginazione.
Che quindi si avvii un processo di riaggragazione a sinistra non può che essere considerato positivamente, ma - ciò premesso- non si può che rilevare la grande incertezza che grava su tale processo. In effetti, la proposta nata dall’interlocuzione fra i massimi dirigenti delle tre forze che diedero vita alla lista comune per le europee (PRC, PDCI, Socialismo 2000) appare come un contenitore appena abbozzato, la cui base politica è definita solo parzialmente, non essendo chiaro, ad esempio come il proposito di mettere in discussione il bipolarismo si traduca poi concretamente in azione, a partire dal nodo del rapporto col PD, ancora in larga misura non definito. Non solo, la stessa finalità della federazione non è precisata. Per alcuni, come il segretario del PDCI, dovrebbe essere intesa come un passaggio in vista dell’unità organica in un nuovo partito. Per il segretario del PRC, invece, essa costituirebbe l’approdo finale del processo unitario, essendo la federazione, per l’appunto, il modello ottimale per coniugare l’unità possibile con l’autonomia necessaria delle singole forze.
Che l’urgenza di dare una prospettiva alle forze che parteciparono unitariamente alla competizione elettorale europea costringesse ad avanzare una proposta anche a rischio d’improvvisazioni è comprensibile. Che invece sia possibile a partire da questa prima approssimazione (il patto federativo) proseguire, sull’onda degli avvenimenti politici e delle urgenze sociali, senza regole e finalità chiare, è invece decisamente discutibile. Un simile percorso non dà alcuna seria garanzia ed, anzi, già oggi l’aleatorietà che grava sul processo sta alimentando dubbi nel corpo militante e un confuso procedere nei territori, la cui manifestazione più evidente è la messa in campo di strutture diversificate, in molti casi in palese contraddizione con l’idea stessa di una federazione. Occorre, allora, mettere i puntini sulle "i" circa il significato preciso che si vuole attribuire al termine federazione, alla sua missione politica e alle sue regole di funzionamento.
Per amore di verità, però, occorre sottolineare come, in realtà, dietro tale indeterminatezza non si celi solo la difficoltà obiettiva, in un tempo così breve, a definire un’ipotesi politica ed organizzativa, ma anche – ed è l’elemento più pericoloso – il sussistere (dietro il paravento della federazione) di progetti politici diversi che spesso riflettono dinamiche trasversali alle stesse forze politiche coinvolte. Non è un mistero per nessuno che la federazione sia considerata per alcuni nient’altro che un mezzo per conseguire un altro obiettivo. Ciò vale con tutta evidenza per il PDCI e per i settori di Rifondazione comunista che ne condividono l’impostazione. In questo caso l’obiettivo resta quello dell’unificazione dei due partiti comunisti in un nuovo partito, in tempi celeri. L’allargamento ad altri soggetti non è essenziale. Ma ciò vale anche per quanti tendono a riproporre un’opzione arcobalenista. In questo caso la federazione ridiventa l’occasione per costruire quel soggetto unitario della sinistra che è naufragato alle elezioni politiche.
Cos’hanno in comune questi due approcci, peraltro molto diversi fra loro? Due elementi ugualmente allarmanti. Il primo è che sposano un approccio dichiaratamente politicista in cui i contenuti passano volutamente in secondo piano; il problema si riduce, cioè, essenzialmente alla geografia dei soggetti coinvolti, mentre le differenze esistenti fra le varie forze passano in secondo piano. Il tutto si riduce a somme algebriche di voti potenziali o a identità simboliche separate da valutazioni di merito su posizioni politiche e pratiche sociali. Il secondo, ed è quello più inquietante, è che entrambe presuppongono il superamento di Rifondazione comunista come soggetto politico e come progetto. In questo senso la federazione, nei progetti di alcuni, muovendo da un’esigenza reale, rischia tuttavia di diventare il cavallo di troia per l’affossamento definitivo della nostra proposta politica.
Ma allora, per evitare questi rischi evidenti, quali caratteristiche minime essenziali dovrebbe possedere la federazione e, parallelamente, cosa andrebbe assolutamente evitato? A me pare che la federazione debba possedere due caratteristiche fondamentali: in primis la possibilità di espandersi aggregando nuove forze. Deve potersi espandere perché altrimenti non consegue l’obiettivo fondamentale, che è quello di superare i limiti di consenso registrati dalla lista comunista ed anticapitalista. Ma per fare questo occorre non solo che i suoi organismi dirigenti debbano potersi ampliare raccogliendo rappresentanti di nuove forze, ma che l’allargamento sia il compito fondamentale della federazione stessa. Ciò non sta avvenendo per motivi oggettivi (l’esiguità delle forze politiche coinvolgibili) ma anche per limiti soggettivi (in particolare nei territori, dove i coordinamenti costruiti sono il più delle volte del tutto autoreferenziali). In questa fase, invece, l’allargamento delle forze dovrebbe costituire una vera e propria “ossessione”, e l’attenzione dovrebbe in particolare essere posta ai soggetti sociali, specie quelli più interessanti disseminati nei territori.
La seconda caratteristica essenziale che dovrebbe possedere la federazione è la garanzia di effettiva autonomia dei soggetti coinvolti e il rifiuto esplicito di opzioni fusioniste. Il tema è molto delicato, ma occorre essere molto chiari. Le esperienze di unificazione forzosa a sinistra si sono rivelate un disastro per una ragione semplice, perché le differenze esistenti hanno determinato basi comuni fragili e hanno lasciate inalterati gruppi di pressione e consorterie. IL PD né è una significativa testimonianza, l’arcobaleno anche. Ma non è solo questo. Il problema fondamentale è che la forza in questa fase di una proposta politica non discende solo dalla massa critica che mette in campo, ma dalla credibilità del progetto. Progetti deboli non hanno futuro. Fra questi metto anche un’idea di unità dei comunisti che prescinde da ogni valutazione di merito sugli errori commessi in questi anni, che disconosce le differenze evidenti delle culture politiche e che si illude che comuni riferimenti simbolici o alcuni elementi di identità condivisi siano sufficienti. Per queste ragioni, in ultima analisi, non si può concepire la federazione come soggetto provvisorio.
Infine, sul piano politico, la federazione, deve assumere alcuni riferimenti sociali fondamentali (il lavoro in primis, e in secondo luogo l’articolato arcipelago dei bisogni sociali), deve interpretare il ruolo (come si diceva un tempo ) di cuore dell’opposizione (per questo centrale è il tema della condizione sociale nella crisi, ma altrettanto essenziale è la capacità di ricondurre la lotta sociale alla dimensione politica dello scontro col governo di centro-destra).
Deve inoltre pensarsi come soggetto autonomo, in competizione col PD, ponendo al centro il disegno di trasformazione, la promozione del conflitto e concependo alleanze e ruoli istituzionali in stretta connessione con tali obiettivi. Con un obiettivo fondamentale: quella rottura del sistema politico-istituzionale imperniato sul bipolarismo che costituisce la condizione essenziale per ridare ad una sinistra di alternativa la possibilità materiale per incidere sul piano politico e svolgere un ruolo rilevante su quello sociale.
In questo contesto, va ribadito con chiarezza che una federazione della sinistra di alternativa ha bisogno al suo interno di un più forte Partito della Rifondazione Comunista. Non si tratta di un rigurgito settario, ma di una valutazione lucida. Non esiste una sinistra forte senza che al suo interno non vi sia un soggetto che la innervi. Nel dopoguerra questo soggetto fu il PCI. Oggi occorre reinvestire su Rifondazione Comunista come partito e, soprattutto, come progetto. La ragione è semplice. Se negli scorsi anni Rifondazione Comunista ha assolto una funzione rilevante non lo si deve solo allo spazio politico lasciato aperto dalla deriva del PDS, ma anche alla sua peculiarità. Tale peculiarità era rappresentata dall’eredità del PCI, ma anche dalla capacità di assorbire nuove esperienze e culture politiche. Il processo non si è compiuto in modo soddisfacente, è vero. Non è nata una vera e propria cultura politica, i limiti dei gruppi dirigenti hanno condotto alla fine al disastro e, tuttavia, alcuni tratti di questa esperienza politico-culturale conservano una loro fecondità. Mi riferisco, fra l’altro: ad una concezione della trasformazione in cui il fondamento è posto sulla dimensione sociale e in una prospettiva di massa e in cui la competizione elettorale non soverchia ogni altra dimensione dell’agire politico. Mi riferisco ad un’idea del comunismo come massima espressione di eguaglianza e libertà. Mi riferisco, infine, ad un’idea del partito come soggetto collettivo plurale e democratico, militante e radicato socialmente, in alternativa ad una concezione accentratrice, burocratica e politicista. Questa impostazione, per esercitare la sua influenza, ha bisogno che sia garantita l’autonoma iniziativa di Rifondazione comunista. Per questo va rifiutata l’idea di una federazione come “anticamera di fusioni” che rischierebbero di azzerare, nella mediazione forzata fra posizioni disomogenee, elementi di cultura politica e pratiche essenziali. La federazione, insomma, deve massimizzare l’unità, ma consentendo ai vari soggetti di operare con margini significativi di autonomia, accettando anche una competizione virtuosa fra gli stessi, unico modo – io credo – per favorire l’arricchimento della proposta e l’efficacia dell’azione politica.

giovedì 4 giugno 2009

Arresti in Campania, i fatti confermano la battaglia di Rifondazione

La raffica di arresti ieri in Campania nell'ambito dell'operazione 'Green', riguardante i collaudi di ex impianti Cdr che sarebbero stati falsati, scoperchia la pentola di un disastro ambientale e sanitario su cui in molti hanno taciuto, e che solo alcune forze sociali e politiche hanno avuto il coraggio di denunciare apertamente. Ai domiciliari sono finite quindici persone, tra le quali il presidente della provincia di Benevento ed ex rettore dell’Unisannio, Aniello Cimitile del Pd, professori universitari, tra cui gli ex presidi della facoltà di ingegneria della Federico II di Napoli Oreste Greco e Vincenzo Naso e Rita Mastrullo, ordinario presso la stessa facoltà. Infine, il direttore del termovalorizzatore di Acerra Vittorio Vacca e alcuni funzionari della Regione Campania. Sono tutti indagati per falso ideologico, avendo attestato l'idoneità degli impianti quando erano già sequestrati e la conformità del loro prodotto alle specifiche del contratto stipulato tra Regione Campania e Fibe, società del gruppo Impregilo.

Solo poche settimane fa, il candidato alla Presidenza della Provincia di Napoli per la Lista Comunista Tommaso Sodano, da anni impegnato nelle battaglie contro la cattiva gestione della questione rifiuti, aveva presentato un esposto presso la procura della Repubblica in cui denunciava “gravi irregolarità che gli enti preposti stanno commettendo nella gestione del ciclo dei rifiuti”. Se confermati, gli arresti di ieri suonerebbero come la dimostrazione dell’evidenza di ciò che Sodano denuncia sin dal 2001. “Che gli impianti Cdr non funzionassero a norma lo stiamo denunciando da otto anni a questa parte,” afferma. E prosegue:“sulla difesa di questi siti c’è stata una sinergia bipartisan, da Bertolaso a Bassolino fino a Berlusconi che, durante la cerimonia di inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra, ha definito i vertici Impregilo degli ‘eroi’.”

“Noi continuiamo a dire no a una gestione scellerata dell’emergenza rifiuti, al business e all’arricchimento basato su impianti che non funzionano, ma che producono solo danni alla nostra salute e a quelli dei nostri figli. L’alternativa ai rifiuti nelle strade e ai siti non a norma esiste – aggiunge – occorre puntare su un ciclo virtuoso dei rifiuti, sul riciclo delle materie prime investendo sui rifiuti come risorsa. E’ necessario – conclude il candidato alla presidenza della Provincia di Napoli - mettere un punto a questa gestione che ha provocato danni all’ambiente e alla salute. Diciamo no al cattivo funzionamento dei siti e alle lobby che sono alle spalle di questa gestione criminale”.

Le reazioni arrivano anche dal mondo dei precari della ricerca e dagli studenti.

"La mia cultura politica garantista" afferma Andrea Genovese, dottorando della Facoltà di ingegneria della Federico II di Napoli e militante del PRC "mi impone di attendere l'ultimo grado di giudizio prima di emettere pareri definitivi. Eppure, di fronte agli arresti di oggi (ieri per chi legge), che confermano quanto denunciato dal Partito della Rifondazione Comunista e da un vasto movimento popolare negli ultimi anni, non posso che esprimere una sensazione di tristezza. Qualora, infatti, le accuse mosse ai docenti di Ingegneria dovessero rivelarsi veritiere, ci troveremmo in una condizione surreale. Da aspirante ricercatore, ho sempre visto in queste personalità dei 'maestri', nel senso letterale del termine, quello del latino 'magister'. Che presuppone, oltre all'essere grandi uomini di scienza, l'essere portatori di un'etica d'acciaio; saper trasmettere, oltre che formule e nozioni, anche un modo di svolgere la professione di ingegnere conforme a una visione
sociale e progressiva del sapere. Mi dispiacerebbe se tutto ciò venisse drammaticamente a mancare, a vantaggio di una subcultura fatta di affarismo ed arrivismo, le grandi piaghe del sistema economico capitalista".

Lo sconcerto è sincero nelle parole di Francesca Pettinati, Giovane Comunista e membro del Comitato in Difesa dell'Università Pubblica di Ingegneria: "mi colpisce soprattutto la notizia secondo la quale anche il nostro ex-preside, il prof. Vincenzo Naso, che stimavamo come docente corretto e affidabile, sarebbe coinvolto negli arresti. Se le accuse dovessero essere confermate, questa sarebbe ennesima riprova del malcostume secondo il quale in questo Paese, e soprattutto nel nostro meridione, le posizioni di potere vengano spesso utilizzate per ottenere un proprio tornaconto. Trovo assurdo e paradossale che proprio le cariche pubbliche, la cui funzione dovrebbe essere messa innanzitutto a servizio della collettività e del bene pubblico, divengano invece posizioni di rendita a partire dalle quali realizzare interessi tutti privati. La cosa è ancora più grave se si considera il danno che è stato arrecato per mesi, e forse per anni, ad un bene tanto delicato ed importante come la salute dei cittadini, oltre allo scempio permanentemente inferto al nostro territorio ."

domenica 15 marzo 2009

MANNAGGIA LA MISERìA

Presentazione del libro

MANNAGGIA LA MISERìA
Storie di braccianti stranieri
e caporali nella Piana del Sele
di Anselmo Botte
Prefazione di Guglielmo Epifani

17 marzo ore 16,30
Provincia di Salerno
Sala Bottiglieri

Ne discutono con l’autore
Don Marco Russo
Caritas Diocesana
Franco Tavella
Seg. gen. CGIL Salerno
Francesco Calvanese
Università degli Studi di Salerno
modera
Mariano Ragusa
Direttore de “Il Mattino” di Salerno

Ne discutono con l’autore
Don Marco Russo
Caritas Diocesana
Franco Tavella
Seg. gen. CGIL Salerno
Francesco Calvanese
Università degli Studi di Salerno
modera
Mariano Ragusa
Direttore de “Il Mattino” di Salerno

18 marzo ore 10,00
San Nicola Varco
Eboli
Incontro con l’autore
***

<<Mannaggia la miserìa», con
l’accento sulla seconda «i»,
è un’imprecazione ricorrente
tra gli immigrati marocchini che
vivono nel ghetto di San Nicola Varco,
un mercato ortofrutticolo abbandonato
nel cuore della Piana del Sele,
vicino a Salerno. In quel mercato non
si comprano né si vendono i prodotti
della terra. C’è altra merce. Ci sono
braccia, tante braccia.
Con un linguaggio teso e una narrazione
incalzante il testo denuncia le
condizioni di vita e di lavoro estremamente
degradate di un nucleo di settecento
immigrati marocchini occupati
in agricoltura. Storie raccontate in
prima persona, descrizioni impietose
di una quotidianità fatta di situazioni
abitative disumane, in tuguri senza
luce e senza acqua, e segnata da fatica
e sfruttamento nelle campagne dominate
dal caporalato e dal lavoro nero.
Ricorrendo alla forma del racconto, il
libro dà voce alle storie personali di
una comunità inconsapevole di essere
diventata tale. Prendono corpo così
tante vite invisibili e sbriciolate, ma
anche la voglia e il tentativo di delineare
proposte e percorsi utili per la
costruzione di un progetto di riscatto.

mercoledì 25 febbraio 2009

L'insostenibile leggerezza dell'essere... PD (qualche riflessione di fondo sul nostro bipolarismo)

di Chiara Pollio

La clamorosa debacle del Pd alle regionali sarde, con conseguente maremoto interno e dimissioni del Segretario Walter Veltroni, fornisce un'occasione per le più disparate critiche sulla realtà politica istituzionale italiana. Una di queste, a prima vista marginale, ma che forse vale la pena di annotare, si attesta a livello della forma che ha preso il bipolarismo in Italia. Si può dimostrare, in poche ma semplici mosse, che il nostro non costituisce solo un'anomalia rispetto agli altri già di per sé discutibilissimi sistemi bipolari, ma che (cosa più grave) esso è una costruzione artificiosa sulla nostra realtà sociale.
E' pacifico che la tendenza seguita dai maggiori partiti nei sistemi bipolari di tutto il mondo è quella alla convergenza sulle piattaforme politiche, e ad un robusto appiattimento ideologico. Ciò causato da una lettura della società come realtà non conflittuale, sia nella materialità delle condizioni economiche (livellamento dei redditi), sia nella convergenza della coscienza politica, sociale e culturale, verso un unico modello e pensiero, di stampo liberale e individualistico. L'equazione è semplice: se la società, e quindi l'elettore, tende al centro, le strategie dei partiti per acquisire consenso si fanno via via più moderate e simili.
Questa, però, non è la situazione che si è venuta a determinare nel nostro paese dallo scorso aprile ad oggi. Era, certo, la strada che si era illuso di poter percorrere il Pd, se non fosse stato che quella che si è aperta non è stata una nuova era di dialogo e conciliazione per la politica italiana, perché nel mezzo si è frapposta la definitiva crisi del capitalismo neoliberista, che ha svelato la realtà di un contesto sociale per niente pacificato, tanto nel conflitto capitale-lavoro come nelle relazioni multiculturali. E allora, mentre la destra ha saputo rispondere prontamente con l'instaurazione di un regime di razzismo securitario e autoritarismo clerico-fascista, il Pd è rimasto indietro, schiacciato sul suo atteggiamento conciliativo e dialogante (salvo scadere in un vero e proprio “collaborazionismo” su temi cruciali come il federalismo), senza comprendere che le istanze sociali erano e sono in questa fase tutt'altre. Quello che ci ritroviamo, a poco meno di un anno da quelle elezioni che, con l'esclusione delle forze della sinistra radicale, avevano scoperto nella semplificazione del quadro politico la Panacea ad ogni male e la risposta a tutte le domande degli italiani, è una destra aggressiva e baldanzosa che risponde alla crisi assestando colpi tremendi a lavoratori e migranti, e un PD spappolato, che ha il suo punto debole non nell'incapacità (come ha dichiarato Walter Veltroni all'indomani dello smacco sardo) di comunicare con il suo popolo, quanto nella totale carenza di proposta politica, coincidente con un'errata lettura delle istanze sociali di questa fase.
E' chiaro come il sole che l'Italia colpita dalla crisi, quella dei lavoratori, degli studenti, dei migranti, ha diritto e bisogno di una battaglia di resistenza e di un'opposizione radicale, che nessuna forza presente in Parlamento può garantire (per carenza di volontà come di capacità). A questa situazione, in un contesto sociale per nulla pacificato, l'assetto bipolare e conciliativo sta decisamente stretto. Non è che una forzatura, che non vive se non a costo di distorsioni fatte appositamente per comprimere gli spazi di democrazia, come risulta essere chiaramente lo sbarramento per le elezioni europee al 4%. Questa è una manovra per escludere forzatamente il conflitto dalla scena politica, e dipingere una società che non esiste. E noi non possiamo permettere che questo avvenga.

martedì 24 febbraio 2009

C'è bisogno di un partito comunista vero con un progetto di cambiamento reale. Ma il PRC è libero di esserlo? I militanti sono la speranza.

di Eugenio Giordano*
Tante volte abbiamo sentito e tuttora ascoltiamo proclami che sono necessari: “Unire le lotte, mettere in campo un progetto, una prospettiva che deve coinvolgere e aggregare”. Tra il dire e il fare c’è sempre, però, di mezzo il mare. In questo caso non è il mare ad essere l’elemento di ostacolo, ma la debolezza, la lentezza a capire che non c’è più tempo da perdere. Prendiamo, ad esempio, lo sciopero del 13: riuscito, grande partecipazione, e poi? Così anche l’11 ottobre, lo sciopero del 12 dicembre e così via. Nelle fabbriche, i lavoratori, anche quelli non iscritti al sindacato, chiedono quale è il passo successivo, la prossima mossa. Una domanda legittima, che da il senso della voglia di ricominciare e partecipare. Regna, invece, sovrana la confusione, la totale assenza di una prospettiva, di elementi chiari di coinvolgimento, che devono mirare ad unire, ma non solo numericamente. Tutto questo mentre la destra mette in campo misure aberranti, come le ronde, gestite dagli ex agenti, oppure, l’introduzione di strumenti assistenziali e non strutturali per la crisi. I lavoratori hanno bisogno d’altro: aumento sensibile di salari e pensioni, innanzitutto. Mentre i poteri forti si coalizzano, per dare un ulteriore sterzata antidemocratica, la Sinistra, i Comunisti continuano nelle loro patetiche divisioni, che hanno ormai il sapore della paura di perdere il potere, quel potere che tanti rincorrono, al di la di ogni morale ed etica politica. Il sentimento di sfiducia, di rassegnazione nei confronti della politica continua, quindi. Al paese, per esempio a quel paese che quotidianamente deve fare i conti con la paura di perdere il posto di lavoro, a quel paese che vive una degenerazione sociale e culturale che non ha precedenti, poco, o niente, importa quale sarà il futuro gruppo dirigente di questa o quella federazione del PRC. Quali saranno i futuri “dirigenti” che guarderanno il “fortino vuoto”, quale sarà il futuro gruppo dirigente che prenderà in consegna il “barile vuoto”. Tutto questo mantiene fuori l’elemento principale: la politica, la piattaforma politica, unico strumento vero per la costruzione di una dirigenza forte e condivisa. Si continua, invece, all’interno del Partito, a ragionare in termini di correnti, del proprio rafforzamento e posizionamento. Le aree politiche hanno un senso, le correnti vanno bandite, se si vuole veramente ricostruire un Partito Comunista vero e di massa. Ricordo sempre, con un misto di nostalgia ed orgoglio, le parole di Gramsci, nel momento della lettura della sentenza del tribunale fascista che lo condannava a 20 anni di reclusione e che diceva pressappoco così: “voi avete distrutto l’Italia, spetterà a noi Comunisti ricostruirla”. Oggi i Comunisti, dovunque collocati, possono citare ancora questa frase? io penso di no! Prosegue, in questo paese, un processo, iniziato da tempo, di degenerazione morale, che ha purtroppo contaminato tutti e tutto, e nessuno può considerarsi immacolato. A ciò stiamo assistendo nel “dibattito” che dopo la scissione si sta avendo in Rifondazione. La corsa ad occupare un posto, rimasto vacante, da chiara l’idea di come in molte realtà, il Partito è, o stia per cadere dalla padella alla brace. Qui entra in gioco un elemento che, a mio avviso, non può più essere sottaciuto: la debolezza del nuovo gruppo dirigente nazionale, la necessità, quindi la convinzione, che questo partito deve ancora sottostare a ricatti interni, perché debole nell’attuare la svolta, quella che tanti hanno sperato da Chianciano in poi. Dopo la scissione andava riproposto con decisione l’elemento del riscatto, il vero valore che possiamo e dobbiamo rimettere in campo e cioè la politica, il progetto, la centralità del Partito, i suoi iscritti, quella immane forza che nonostante tutto e tutti è presente e forte e che rimane, ancora, ai margini. Le prossime tornate elettorali, per esempio, non devono in alcun modo condizionarci negativamente, la nostra partecipazione non deve essere ossessionata dallo scopo di eleggere a tutti i costi, non deve essere questo il primo obiettivo. Bisogna osare, bisogna iniziare da subito la svolta, mettere al centro il Partito, bisogna operare una scelta ora e subito: avviare un processo di moralizzazione ad ogni livello del Partito, dare un segnale di vera discontinuità, ad iniziare dagli uomini e con un progetto che deve essere assunto, metabolizzato e portato casa per casa, posto di lavoro per posto di lavoro, attraverso l’unica risorsa veramente preziosa che il partito ha: gli iscritti, quelli che tanti dirigenti nazionali non conoscono nemmeno, ma che continuano, con dignità, a mantenere forte e viva la speranza della ricostruzione.

*Comitato Politico Federale Napoli
e Coordinatore provinciale - Area sinistracomunista* Napoli

Rifondazione e le alleanze locali

di Beniamino Simioli*

Il problema delle alleanze e dalla permanenza nelle giunte locali, tormenta Rifondazione Comunista da sempre, ma dopo lo scorso congresso di Chianciano che ha sancito la svolta a sinistra del Partito, questa questione è ritornata di primario interesse. Definire come si debba comportare nelle alleanze il Partito post-Chianciano è il dibattito che sta coinvolgendo un po' tutte le anime e le sensibilità presenti nel Prc e, in particolare, quelle che fanno parte dell'attuale maggioranza. Il problema, a nostro avviso, dovrebbe essere affrontato evitando da un lato l'opportunismo dall'altro il settarismo. Imporre regole generali (sempre in alleanza con il Pd o mai in alleanza con quest'ultimo) ad una moltitudine di casi particolari differenti tra di loro, non solo è una pratica sbagliata ma anche non marxista. E' del tutto evidente che, su questo tema, non esistono soluzioni universali e valide in ogni circostanza. Prima di decidere se allearsi o no con il centro-sinistra, prima di stabilire la nostra uscita o meno dalle giunte locali bisognerebbe,dunque, valutare concretamente quanto la nostra politica possa influenzare l'azione di governo; per far ciò occorre tenere presente alcuni criteri che non possono in alcun modo essere sottovalutati. Tra questi, il proprio radicamento sul territorio, la composizione della coalizione, il programma di governo, la capacità del nostro Partito di far rispettare gli impegni assunti, naturalmente sempre rapportandosi alla particolarità del contesto sociale in cui si agisce. Insomma, valutare i rapporti di forza con le altre formazioni politiche non è una questione di secondo piano, anzi è fondamentale. Qualsiasi discussione sui candidati o sul numero di assessori dovrebbe essere preceduta dalla discussione sui programmi politici ed è naturale che, su questo piano, ci sono alcuni punti per noi vitali e sui quali non possiamo cedere. Molti di questi sono stati più volte elencati dalla segreteria nazionale (es. la totale contrarietà alla privatizzazione dell'acqua), ma altri vanno ricercati nelle specificità di ogni singolo territorio. Dovremmo, ad esempio, mettere in chiaro, prima di siglare un'alleanza, il nostro rifiuto nei confronti di uno strumento politico come quello dell'elezione primaria, che è un meccanismo micidiale volto a distruggere i partiti, tanto più se di sinistra, come strutture organizzate di rappresentanza. Altro punto dovrebbe essere quello di pretendere che tutti i candidati della coalizione siano persone oneste e non legate ai poteri forti (legali e non). Detto questo è però necessario anche affermare che su alcune realtà, come per esempio quella campana, bisogna essere chiari. Valutare, dunque, tutti i criteri sopra elencati, insieme alle particolarità del Pd campano (che se è possibile è pure peggio di quello nazionale) e valutare oggettivamente l'operato insufficiente delle varie giunte (almeno quelle più grandi) in cui siamo presenti. In questo contesto politico, si rende necessaria sia la nostra uscita dalle giunte (in particolare quella regionale), ma anche la scelta di non allearsi nuovamente con il Pd, puntando sulla costruzione di coalizioni di sinistra, almeno fino a quando le condizioni oggettive attualmente esistenti non saranno mutate.In alcuni territori, come in Campania, ma non solo, il nostro Partito è diventato un campo di battaglia dove istituzionali più o meno legati al Pd si contendono fette di potere, imbottendo gli organismi dirigenti di persone che sono da loro economicamente dipendenti.Non possiamo permettere che tutto ciò continui, omologandoci alle usanze delle altre forze politiche. Di conseguenza è si necessario valutare caso per caso, ma è altrettanto necessario essere espliciti e diretti laddove ormai c'è ben poco da valutare.
*Comitato politico federale di Napoli
e Responsabile regionale Giovani - Area sinistracomunista* Campania

Lavoro e conflitto per tornare in campo

di Alessandro Cardulli

La Costituzione della Repubblica italiana all'articolo 1 recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Questo, ancor oggi, l'asse strategico di una proposta politica per costruire un'alleanza fra le forze della sinistra antagonista, anticapitalista, antiliberista, che non guardi solo alle prossime tornate elettorali, ma segni l'inizio di un percorso verso un polo anticapitalista di cui Rifondazione comunista sia e rimanga levatrice, componente fondamentale.Democrazia e lavoro, un nesso inscindibile. La campagna elettorale per le europee si svolgerà in un crescendo di devastazione della economia reale con una falcidia di milioni di posti di lavoro. La povertà morde milioni di famiglie. Non vi è dubbio che la "centralità del lavoro" deve uscire dagli slogan e diventare, appunto, l'asse strategico della battaglia anticapitalista, antiliberista. Questa è la chiave per "aggredire" il capitalismo in modo concreto e avviare un processo di trasformazione, di cambiamento, quel nuovo modello di sviluppo che andiamo cercando e non può che essere collegato alle condizioni di vita di miliardi di cittadini della terra. Lavoro che non significa solo "posto" ma anima della democrazia, dei diritti sociali, dell'uguaglianza, delle libertà collettive e individuali. Chiediamoci, estremizzando ma non troppo, perché un precario dovrebbe battersi per il testamento biologico, per disporre cioè della propria vita, quando gli è negato il diritto al lavoro garantito dalla Costituzione. O perché un migrante, "riserva strategica" del capitalismo, dovrebbe integrarsi in società che lo rifiutano, lo costringono a vivere in baracche, a fare la fame, sfruttato da padroni, quasi uno schiavo. Quali, allora, i soggetti protagonisti di una battaglia di dimensione epocale? Quelle donne e quegli uomini che sono scesi nelle strade e nelle piazze in Italia, in Francia, in Grecia, in altri paesi dell'Europa e del mondo. La classe operaia, una nuova classe operaia che si fa sentire, ha bisogno solo di trovare chi l'ascolta, nuove categorie di lavoratori che pagano un prezzo altissimo alla crisi anche in termini di professionalità. I "cipputi" e i "travet" - metalmeccanici e pubblico impiego - che scioperano e manifestano insieme, "intelletuali di massa" come gli insegnanti. Si configura una nuova lotta di classe che entra in contatto con le forze vive della società, con i movimenti, con la cultura. Il motore, il cuore della scontro, è il conflitto sociale.Nella prossima tornata elettorale il problema delle alleanze delle forze che in questo scenario si riconoscono è determinante e non solo perché esiste lo sbarramento del 4%. Alleanze per l'oggi, guardando al futuro. Uno slogan indubbiamente efficace, l'unità dei comunisti, appare, perciò, debole nella sostanza e nella prospettiva - anche se il problema della "diaspora" esiste - non all'altezza di ricreare le condizioni di una lotta di classe, del deflagrare del conflitto sociale. Piuttosto si dovrebbe parlare del ruolo dei comunisti nel costruire le necessarie alleanze e, determinante, essenziale, quello della forza più consistente, Rifondazione comunista. Si dice "a sinistra dal basso", Bene, evitando perciò che siano le segreterie di partito a decidere programma elettorale e liste, inserendo qualche nome di "indipendenti". Si può pensare che proprio Rifondazione promuova, da subito, una grande campagna per la costruzione nei territori di comitati elettorali larghi, aperti che poi si coordinano nelle grandi Circoscrizioni, gestiscono la campagna elettorale a partire dalla formazione delle liste dei candidati. Con due discriminanti: che la lista aderisca, come ha indicato la direzione del Prc, al Gue, al gruppo europeo, unitario delle forze della sinistra comunista e anticapitalista. Che il simbolo sia quello che rappresenta la storia, i valori del movimento operaio, comunista e socialista, la falce e il martello. Senza se e senza ma.
Fonte: Liberazione

Non si risale una montagna da soli

"Oggi sento la necessità di un partito organizzato e di farne parte"

di Haidi Gaggio Giuliani

Scorro in internet la rassegna stampa: la Palestina non si trova più nelle prime pagine dei grandi giornali, tra le notizie importanti. Nessuna sorpresa: altre popolazioni martoriate non ci sono addirittura mai arrivate. Quasi per caso nella vecchia posta ritrovo alcune foto scattate a Tulkarem, tre anni fa, quando sono andata ad assistere alle elezioni con ragazzi e ragazze dei Giovani Comunisti; siamo in gruppo e sorridenti, qualcuno tiene il braccio sollevato, la mano stretta a pugno: un gesto identitario? Sono successe molte cose in questi tre anni; i social forum, che erano la nostra speranza, nati dallo spirito di Genova 2001, si sono per lo più disciolti come neve al sole; alcuni di quei ragazzi sono andati "oltre", dove non mi è chiaro e, quel che è peggio, temo non sia chiaro neppure a loro stessi.
Siamo di fronte a una gravissima crisi economica frutto di venti anni di politiche liberiste che hanno precarizzato il lavoro, tagliato i salari e accresciuta la ricchezza di ladri ed evasori. Le fabbriche chiudono; i lavoratori continuano a morire. Non c'è sicurezza per loro. Rischia di scomparire il Contratto nazionale di lavoro, scompaiono cioè le garanzie collettive sui salari e sui diritti, conquistate in tanti anni di lotte. In cambio ricompaiono i manganelli contro gli operai, a Pomigliano, contro i lavoratori dell'Innse a Milano. Non c'è sicurezza per chi difende il proprio territorio, la vita dei propri figli: linea dura delle forze dell'ordine contro i No dal Molin a Vicenza, città d'arte con coprifuoco militare. Come in Valsusa, si pretende di gestire con la forza la pacifica contestazione degli abitanti. Ma la "grande informazione" non ne parla. Non c'è sicurezza neanche per le donne nelle vie delle nostre città e, soprattutto tra le pareti domestiche, perché non saranno certamente leggi più repressive, a difenderle, bensì una cultura più diffusa, una maggiore attenzione ai problemi delle persone, maggiore partecipazione alla vita nelle città. «Ser culto es el único modo de ser libre» , ricordava José Martí nell'ottocento, ma qui la cultura viene umiliata ogni giorno, la scuola pubblica impoverita: è meglio non allevare giovani cittadini capaci di pensare con la propria testa perché potrebbero un giorno diventare uomini e donne davvero liberi. Non c'è più neppure la speranza di poter morire in pace. In cambio ritornano le leggi razziali. Assistiamo quotidianamente a colpi di mano contro la giustizia e la civiltà: medici trasformati in spioni contro gli ammalati più poveri, tanto poveri da non possedere nemmeno un documento; legalizzate le ronde; proibito indagare negli affari di lorsignori. Vengono votate in Parlamento leggi ordinarie che svuotano di significato la Carta costituzionale. In questo panorama l'opposizione a volte cinguetta con la maggioranza, a volte balbetta; quello che un tempo era il blocco sociale della sinistra si va sbriciolando.E allora io ho sentito, sento la necessità di un partito organizzato, e di farne parte. Un partito con le idee chiare. Che conosca le proprie radici e sappia anche riconoscere i propri errori; determinato a stare sempre dalla parte delle persone più deboli, sfruttate, derubate dei propri diritti, violentate nel corpo e nella vita. Voglio stare in un'organizzazione capace di discutere con forza al proprio interno e poi dichiarare apertamente quello che pensa e lavorare per raggiungere gli obiettivi individuati; capace di intervenire dove si apre un conflitto; e che quando decide di stare al fianco di grandi movimenti spontanei, come di piccole realtà, poi non li abbandona; capace altresì di denunciare le contraddizioni e di dare vita a nuovi conflitti. Voglio un partito determinato a risvegliare coscienze, disposto sempre a confrontarsi e a collaborare con altre organizzazioni, tutte le volte che è possibile; senza preconcetti ma senza nessun cedimento: un partito con le idee chiare, appunto. E voglio che il mio partito si faccia maestro e sappia fare scuola: deve sapere prima di tutto ascoltare i ragazzi e le ragazze, senza promettere facili carriere politiche ma insegnando con rigore sia la teoria come la pratica quotidiana. Perché è vero che moltissimi giovani sono nauseati dalla politica e pensano che non valga la pena di agire in una società come la nostra ma noi dobbiamo riuscire a dimostrare, come dicono le Madri argentine, che l'unica battaglia persa è quella che si abbandona. Ci riusciremo se sapremo essere onesti; se sapremo mettere da parte personalismi, leaderismi… Non si risale una montagna, non si conquista una cima da soli: si vince tutte e tutti insieme; ognuno con il proprio zaino, con il proprio carico di ricchezze e di errori, ma insieme. Ecco, così penso alla mia Rifondazione. Ma se voglio davvero che sia sempre più così, e sempre più grande, ci devo stare dentro. E lavorare.
Fonte: Liberazione

Zimbabwe, oltre 70mila contagiati dal colera Ma Mugabe festeggia a caviale e champagne

Sabato prossimo ad Harare si terrà il party per gli 85 anni del Presidente mentre nel paese si sotterrano i cadaveri

di Francesca Marretta

«Non si riesce a finire di mangiare un elefante intero», dice il proverbio africano. Spolpare fino all'osso un intero paese dell'Africa, invece si può. Non lo racconta il proverbio, ma la storia recente dello Zimbabwe. Il cui capitolo piú attuale è a dir poco emblematico della situazione.Il ventuno febbraio scorso, il Presidente Robert Mugabe, che governa l'ex Rhodesia dal 1980, ha compiuto 85 anni, diventando il più anziano leader africano. Nonostante la spaventosa crisi economica attuale vissuta da un paese noto un tempo come granaio dell'Africa, e nonostante la gravissima epidemia di colera che imperversa in Zimbabwe da cinque mesi, la macchina organizzativa che in queste ore traina il paese è quella che si occupa dell'organizzazione del festeggiamenti per il compleanno del Presidente. Che si terranno con celebrazioni in pompa magna sabato prossimo ad Harare. Per avere un'idea della spesa che sarà sostenuta, basta dare un'occhiata ad alcune voci che figurano nella lista della spesa prevista per la festa. Ottomila aragoste, ottomila scatole di Ferrero Rocher, tremila anatre, sedicimila uova, cento chilli di gamberoni, cinquemila chili di formaggio, quattromila porzioni di caviale, cinquecento bottiglie di whisky Johnny Walker etichetta blu, Chivas invecchiato 22 anni e duemila bottiglie di Champagne. Naturalmente Moët & Chandon. «Altrimenti desisti», avrebbe detto Totò. Durante gli anni del regime di Mugabe, lo Zimbabwe ha visto precipitare l'aspettativa di vita della popolazione da sessant'anni a trentaquattro, la piú bassa del Continente. Se la situazione dello Zimbabwe non fosse drammatica, il lusso sfrenato che farà da cornice alle danze in cui si dimeneranno gli attempati ma arzilli Robert e Grace Mugabe, osannati da qualche migliaio di accoliti, chiamati a raccolta dallo Zanu-Pf, il partito del Presidente, potrebbe far apparire l'intera vicenda come una farsa. Anche più raccapriccianti si rivelano i retroscena organizzativi di cui ha dato notizia la stampa britannica. Durante le giornate di raccolta fondi per il party in onore del Presidente, sarebbero state avanzate, agli imprenditori del paese, richieste di contributi fino a 110mila dollari a testa ed altre donazioni "volontarie" alla popolazione. Il leader dell'organizzazione giovanile del partito, Absolom Sikhosana, parlando alla radio, avrebbe tuttavia ammesso che quest'anno la raccolta fondi sarebbe stata più ardua rispetto al passato, data la difficile situazione in cui versa il Paese. «Sappiamo che sono tempi duri» ha dichiarato on Air rivolto al popolo dello Zimbabwe Sikhosana, «ma sarà bello onorare le offerte che avete fatto». L'anno scorso la festa di compleanno del presidente era costata 1,2 milioni di dollari. Pare che quest'anno, gli organizzatori fedeli al Presidente, si rendano conto di non potersi aspettare un risultato simile. In qualche modo, anche la cricca presidenziale deve fare i conti con gli oltre 80mila casi di colera registrati nel paese, in base a dati dati diffusi dall'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Secondo la stessa organizzazione, nei cinque mesi da cui dura l'epidemia sono morte quasi quattromila persone. Si tratta di dati pubblicati oltre due settimane fa, che andrebbero aggiornati per eccesso. Se seppellire trentaquattro morti al giorno per colera non bastasse a far passare la voglia a molti cittadini dello Zimbabwe di festegguare il padre-padrone del paese, si può aggiungere all'affresco che ritrare il volto raggrinzito del paese sudafricano, l'ultimo record battuto dal tasso d'inflazione: 231 milioni per cento. In queste condizioni, un tasso di disoccupazione ufficiale intorno al 94% non sorpende nessuno. Descrivere lo Zimbabwe come un paese al collasso è un eufemismo. Il paese è collassato da tempo. Il colpo di grazia, non solo per l'economia, ma per la democrazia, è arrivato nei violentissimi giorni che hanno caratterizato il voto dello scorso anno. Che aveva premiato al primo turno, il 29 marzo, Morgan Tsvangirai, leader del Movement for Democratic Change (Mdc) ed attuale Premier del governo di unità nazionale, che aveva battuto Mugabe senza raggiungere la maggioranza necessaria ad essere eletto Presidente senza ballottaggio. Secondo molti osservatori, per evidenti brogli. Tra quella data ed il secondo turno, tenuto il 27 giugno scorso, lo Zimbabwe è stato investito da una campagna di terrore contro gli oppositori del Regime. Omicidi, stupri e violente intimidazioni, allestite sopratutto nelle zone interne del paese dalle bande fedeli al Presidente perpetuo Mugabe. Elezioni definite «una farsa» dall'opposizione e fortemente condannate dalla comunitá internazionale. Quello scandalo elettorale ha partorito l'attuale governo di unitá nazionale. Che per la leadership dell'Mdc perde credibilitá ogni giorno che passa. Considerato anche che uno dei punti cardine per pervenire all'accordo tra Mugabe e Tsvangirai per formare l'esecutivo e uscire dall'impasse istituzionale e dalla lacerazione che investiva e che tuttora investe il paese, era la scarcerazione degli attivisti politici dell'Mdc. Molti dei quali sono ancora in galera.Un tempo considerato l'eroe anticolonioalista per antonomasia del continente africano, per aver ottenuto l'indipendenza dall'ex Rhodesia dalla Gran Bretagna 29 anni fa, Mugabe ha visto svanire la propria popolarità e reputazione in patria, come sulla scena internazionale. La stampa britannica, che il Presidente taccia di faziosità nei suoi confronti, avendo nel corso della sua lunga azione di governo nazionalizzato le terre da cui aveva spodestato i farmer britannici, ha rivelato che mentre la popolazione dello Zimbabwe è alla fame, la First Lady di Harare si puó permettere di comprare statue di marmo in Vietnam per un valore di 55mila sterline, e pagare in contanti un conto d'albergo ad Hong Kong per 10mila sterline. «Mentre Mugabe oranizza feste per il suo ottantacinquesimo compleanno, un bambino su dieci nel suo paese non raggoingerá il quinto anno di età» ha dichiarato nei giorni scorsi la portavoce di Save the Children in Zimbabwe Sarah Jacobs, che ha aggiunto: «molte delle loro madri, non vivranno nemmeno la metá degli anni del Presidente». Che a differenza dei propri connazionali si mantiene in forma a forza di compleanni a base di caviale e champagne.
Fonte: Liberazione

Ferrero: banche, controllo pubblico e neanche 1 euro a banchieri

Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc
Il governo vuole "la socializzazione delle perdite, senza che lo Stato possa intervenire sul modo in cui vengono investiti i capitali". Paolo Ferrero boccia senza appello "le misure sulle banche assunte fin qui dall'esecutivo".Secondo il segretario di Rifondazione "e' il contrario di cio' che bisognerebbe fare. Non bisogna mettere un solo euro per i banchieri e bisogna tornare, invece, a una situazione di controllo pubblico delle banche, in modo da indirizzare il credito verso le produzioni che servono e non verso la speculazione finanziaria".

Ferrero: idea di tornare a fare centrali nucleari è semplicemente una follia

Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc
L’idea di ritornare a fare centrali nucleari è semplicemente una follia. Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, boccia il ritorno dell'Italia al nucleare e spiega: "Per sismicità del territorio e densità di popolazione non c'e' in Italia un sito che abbia le caratteristiche che, ad esempio, negli Stati Uniti sono richieste per poter costruire una centrale nucleare. Il problema sarebbe di sviluppare in Italia, un paese baciato dal sole, le tecnologie energetiche alternative e il risparmio energetico. Invece, facciamo meno della metà dell'energia prodotta con il sole dalla Germania e questa è davvero una bestemmia". Il problema è che il governo, conclude Ferrero, "fa bene attenzione a non dire dove vogliono mettere le centrali e quando lo si saprà credo che nascerà un movimento che glielo impedirà".

Accordo Berlusconi-Sarkozy sul nucleare: nuove centrali in Italia

di Sergio Vasarri

Siglata l'intesa tra Italia e Francia. L'Italia si converte al nucleare. Decisione unilaterale del Governo che taglia fuori Parlamento e opposizione su una scelta energetica strutturale
ROMA - Più veloce della luce, come diceva un famoso supereroe di fumetti e film. Così è stato il raggiungimento dell'accordo e la firma dell'intesa tra i primi ministri di Francia e Italia, Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi.

I due leader si sono incontrati oggi a Villa Madama nell'ambito di un vertice bilaterale italo-francese, che ha toccato anche altri punti rilevanti nelle relazione tra i due paesi. Tra questi il settore dei trasporti e le grandi direttrici europee (la Tav Torino-Lione ad esempio), la crisi finanziaria e gli scenari internazionali - Afghanistan e Libano - dove Italia e Francia sono maggiormente impegnate.L'intesa prevede una stretta cooperazione tra i due Paesi per la produzione di energia atomica e la conseguente costruzione nel nostro Paese di ben quattro nuove centrali di terza generazione.
Il premier Berlusconi e il suo governo non la smettono mai di stupire: intanto si procede alla firma di un'intesa internazionale, per modificare il quadro normativo e quindi approvare il ddl Scajola ci sarà tempo. Il ddl del Ministro dello Sviluppo Economico, infatti, porta ad una svolta epocale nelle politiche energetiche del nostro Paese: un cammino verso il nucleare che prevede la costruzione di quattro nuove centrali, la prima operativa nel 2020, ognuna con una potenza di 1600 megawatt, per un totale di 6400 megawatt, ovvero il 25 per cento dei consumi energetici italiani. Le centrali sono del tipo Epr (European pressurized water reactor), della classe dei reattori nucleari ad acqua pressurizzata. Se tale tecnologia offre maggiori garanzie dal punto di vista della sicurezza, non presenta alcuna novità sul vero punto dolente della produzione di energia nucleare: le scorie. Non vi è infatti ancora alcuna tecnologia in grado di smaltire in maniera sostenibile le scorie altamente inquinanti che residuano dal ciclo di produzione dell'energia atomica. Berlusconi ha detto che “è una gioia aver firmato questi accordi sul nucleare”, finora impediti dal “fanatismo ideologico degli ambientalisti e della sinistra”. Per l'opposizione si tratta di una scelta che avrebbe dovuto essere condivisa e che in questi termini regala alla Francia e alla EDF asset fondamentali nella politica energetica italiana, a tempo indeterminato.
Fonte: dazebao.org